Presunto stato di indigenza smentito dal minimo reddito percepito e dalla scelta, volontaria, di non farsi retribuire al lavoro

di Lucia Izzo - Violano gli obblighi di assistenza familiare i genitori che non versano il mantenimento al minore lamentando ristrettezze economiche, se però poi hanno le somme per corrispondere la caparra per l'acquisto di un immobile, oppure lavorano per propria scelta senza percepire una retribuzione.

Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 4882/2016 (qui sotto allegata).


Una coppia di genitori veniva condannata in sede di merito per violazione degli obblighi di assistenza familiare, per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza (250 euro mensili) alla figlia minore affidata, a far tempo dalla loro separazione, alla nonna

Tuttavia, il ricorso degli imputati non merita l'accoglimento.

Non scrimina la loro condotta il presunto stato di indigenza che ha provocato l'impossibilità di provvedere a quanto dovuto.


Infatti, evidenziano gli Ermellini, appare con evidenza dalle sentenze di primo e soccorso grado che i due ricorrenti, dopo essersi separati, hanno dismesso ogni interesse nei confronti della figlia minore, affidata, prima provvisoriamente poi definitivamente, alla nonna che in via esclusiva ebbe ad interessarsi del sostentamento della stessa.

Nonostante il Tribunale stabilì una somma finalizzata al mantenimento della piccola, gravante su ambedue, i genitori non hanno comunque provveduto a versarla secondo le direttive imposte.


Ma, nonostante le doglianze difensive, i due non sono stati nell'impossibilità di provvedere: la donna ha, infatti, percepito redditi variabili, tali da consentirle addirittura di versare una caparra per l'acquisto di un immobile; il padre, invece, non ha dichiarato redditi per diversi anni, ma ha collaborato nell'attività di impresa della propria compagna, accettando tuttavia di non venir retribuito dalla stessa.


Quindi, non solo lo stato di indigenza che ha reso impossibile ai genitori provvedere alla prestazione non è stato provato, ma sono stati acquisiti elementi di segno contrario destinati a confermare la statuizione dei giudici di merito: la madre, anche se avesse avuto una disponibilità reddituale minima, avrebbe potuto comunque destinare al mantenimento della figlia anche un minimo contributo (rimasto inevaso nonostante il modesto importo stabilito dal giudice), ma è il versamento della caparra per l'acquisto di un immobile che stride con evidenza sul piano oggettivo con l'addotta impossidenza finanziaria.

Invece, la decisione del padre, di lavorare con la nuova compagna senza farsi retribuire, una volta che viene addotta a sostegno del mancato sostentamento della figlia minore, finisce per ricadere sullo stesso ricorrente, essendo la relativa impossidenza finanziaria non giustificata da fattori esterni alla volontà del soggetto obbligato.

Inoltre, non è possibile per i due affermare che la bambina non versi in difficoltà economiche, poiché "lo stato di bisogno della minore è presunto e sullo stesso non incide, rispetto agli obblighi di sostentamento gravanti sui due ricorrenti, l'intervento in surroga posto in essere da terzi".

Inammissibili i ricorsi, i ricorrenti sono tenuti al pagamento delle spese processuali.

Cass., Vi sez. pen., sent. 4882/2016

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