Il Comune ferma i rubinetti a causa di parametri chimici alterati, ma l'acquedotto neppure prova di aver tentato il ricorso ad approvvigionamenti alternativi

di Lucia Izzo - L'acquedotto è tenuto a risarcire l'utente per il danno da mancanza di risorse idriche nel periodo in cui il Comune aveva ordinato ai cittadini di astenersi dal consumo di uso potabile dell'acqua: quale debitore del contratto di somministrazione, l'Ente deve dimostrare di aver impiegato la necessaria diligenza per rimuovere gli ostacoli frapposti all'esatto adempimento.


Lo ha disposto la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 2182/2016 (qui sotto allegata).

L'ente acquedotti regionale ricorre dinnanzi agli Ermellini dopo essere stato condannato a risarcire il danno correlato alla mancata fornitura di acqua potabile nel periodo in cui il Comune aveva ordinato alla cittadinanza di astenersi dall'uso potabile dell'acqua, in quanto i parametri chimici e i caratteri organolettici erano difformi da quelli previsti dalla legge.


La ricorrente si difende affermando che responsabile del difetto di potabilità dell'acqua sia una locale raffineria, che avrebbe avuto il compito di "captare l'acqua marina e procedere alla sua dissalazione", mentre era riservato all'ente ricorrente il compito di "miscelare l'acqua, una volta dissalata, in modo da renderla potabile".


In realtà, chiariscono i giudici di Piazza Cavour, non si è di fronte ad un rapporto unitario: tra l'Acquedotto e i vari utenti della fornitura di acqua, sussiste un contratto di somministrazione, avente natura privatistica, assolutamente autonomo dai rapporti intercorrenti con la raffineria, estranea al contratto di somministrazione.


Ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., il debitore, in quanto tenuto a dimostrare di non aver potuto adempiere la prestazione dovuta per causa a lui non imputabile, non può limitarsi a eccepire la semplice difficoltà della prestazione o il fatto ostativo del terzo

Non risultando che il contratto di somministrazione prevedesse esclusivamente la fornitura di acqua dissalata, manca qualsiasi riferimento ad un'attività doverosamente diligente per superare le difficoltà che si frapponevano all'esatto adempimento.

In tal senso, l'acquedotto non ha neppure dedotto, ad esempio, l'oggettiva impossibilità di ricorrere ad approvvigionamenti alternativi per eseguire le prestazioni dovute. 


Pertanto, simbolico e giusto, ma soprattutto emblematico, è l'importo liquidato all'utente con valutazione equitativa dal giudice del merito, pari a 853 euro, confermato dal rigetto del ricorso dell'Ente in sede di merito.

Cass., I sez. civ., sent. 2182/2016

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