Il recentissimo riconoscimento della bicicletta come "mezzo proprio"
dall'uso "necessitato" ai sensi dell'art. 12 del decreto 38/2000 fa chiarezza sul
 tema

di Pasquale Acconcia - Sull'onda delle emozioni per le polveri sottili e, in parallelo a blocchi del traffico e riduzioni del riscaldamento per uso domestico, si è riproposto prepotentemente all'attenzione dei mass media e della stessa politica il tema dell'uso di veicoli di trasporto alternativi rispetto alle auto: in primo luogo le biciclette termine generico che identifica ormai una gamma vastissima di veicoli.

Il tema è da tempo all'attenzione sociale e politica per le ricadute in termini di danni alla persona (il ciclista, per incidente direttamente provocato o frutto di colpa di terzo, generalmente automobilista; un terzo trasportato) nonché in termini di responsabilità per danni provocati dal ciclista stesso. Sul piano economico, poi, alle anzidette ricadute corrisponde un mercato dalle fiorenti potenzialità (basta un rapidissimo giro sui siti web che offrono servizi assicurativi per rendersene conto) che scontano, fra l'altro, il progresso tecnologico delle bici che induce alcuni (fra i quali un campione ciclista come Moser, in una recente intervista a Repubblica) ad auspicare la creazione di un meccanismo di assicurazione obbligatoria sulla falsariga, magari, della r.c.a.

In questo contesto ha da tempo assunto specifica evidenza l'utilizzo della bicicletta per recarsi al lavoro: un tragitto, cioè, con un mezzo proprio il che esclude, si ritiene, la tutela di un eventuale incidente come infortunio in itinere ai sensi dell'art.12 del DPR. 38/2000 che, nel prevedere la tutela di detto infortunio, la esclude nello specifico precisando che "l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato".

Come spesso accade, l'utilizzo di un aggettivo per qualificare un fatto giuridicamente rilevante ha dato la stura a una "ricca" giurisprudenza sulla interpretazione del termine "necessitato" (per la quale si rinvia alla sintesi di V. Zeppilli "L'infortunio in itinere - guida con raccolta di articoli e sentenze"). Con un'interessante eccezione - frutto dell'impegno ermeneutico nella fattispecie, dell'INAIL - relativa all'infortunio occorso percorrendo una pista ciclabile che l'Istituto ha assimilato al percorso a piedi per l'assenza dei rischi propri della strada.

Restava, quindi, escluso l'infortunio in bicicletta lungo le strade pubbliche non necessitato, nonostante le motivazioni sociali, ambientali ed anche economiche che sollecitavano una diversa soluzione con motivazioni che il Parlamento ha da ultimo accolto approvando la proposta di considerare l'uso per il percorso casa-lavoro della bicicletta sempre necessitato, ai fini della qualificazione degli incidenti come infortunio del lavoro ai sensi dell'art. 12 del dpr. 38/2000 (così indirettamente confermato nella sua valenza generale).

In questo modo il legislatore: da un lato, ha confermato l'assunzione del termine "mezzo" nel suo significato generico e omnicomprensivo e non come sinonimo di "macchina mossa da agente inanimato" di cui all'art. 1 del T.U.1124 come da noi prospettato (con opinione peraltro isolata) per equiparare, a fini indennitari, il ciclista a un pedone (v. in "Approfondimenti" del Sito del Patronato ANMIL:patronato.anmil.it), dall'altro, mantiene nell'ambito generale della tutela infortunistica l'infortunio in itinere in bicicletta che resta, così, ipotesi disciplinata secondo le regole di questo sistema per quanto riguarda: - i requisiti a monte per la ricorrenza dell'obbligo assicurativo per il lavoratore, tutelato in quanto tale (e non per il solo fatto di essere un ciclista); - le modalità del percorso, l'estensione della protezione per il percorso da e per la mensa, la disciplina delle deviazioni consentite, fra le quali quelle per accompagnare i figli a scuola (possibile anche con l'uso della bicicletta ecc.).

A rigore di termini, inoltre, per l'indennizzabilità occorrerà verificare l'assenza delle condizioni che secondo l'articolo 12 la escludono espressamente: non la guida senza patente, ma gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni.

Tutto questo perché il legislatore non ha seguito la logica assistenzialistica propria di più recenti provvedimenti che estendono provvidenze proprie della "infortunistica del lavoro" a varie situazioni lasciandole però fuori dall'impianto legislativo specifico; ha scelto. Invece, la via maestra dell'integrazione della riforma nel sistema dell'assicurazione infortuni sul lavoro con l'aggancio ad una specifica disposizione del Testo unico 1124.

Come sempre la episodicità degli interventi frutto del netto rifiuto della politica a fronte della richiesta di un nuovo Testo unico comporta il rischio che l'eliminazione di vuoti di tutela per un caso apra un altro fronte di disparità, acuendo i profili di iniquità del sistema nel suo complesso. Ad esempio, rende più acuta la incongruenza di un sistema di tutela delle casalinghe che confina la tutela fra le mura domestiche senza considerarne le funzioni svolte da loro a favore della famiglia, anche all'esterno di dette mura (accompagnare i figli a scuola per tutte).

Resta, in ogni caso, la possibilità di utilizzare l'apertura sulla bicicletta per esplorare altre situazioni di carenza di tutela per interventi che si muovano sulla stessa lunghezza d'onda di quello testé approvato che non innova ma valorizza la portata della declinazione delle ipotesi di necessità nell'articolo 12 - dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili - che prima d'ora ha riguardato l'assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e la non percorribilità a piedi del tragitto per la distanza tra l'abitazione ed il luogo di lavoro.

Valorizza, così, una tipologia di necessità legata non allo stato del percorso "ordinario" e alla sua pericolosità oggettiva, bensì a una "esigenza essenziale" che trascende i bisogni legati strettamente alla persona del lavoratore per ricomprendere valori diversi - ma che pure gli appartengono - riguardante la tutela dell'ambiente, nel caso di specie, la salute pubblica ecc. Non è un caso, dunque, che la nuova norma abbia trovato ospitalità proprio nel "Collegato ambientale" alla Legge di stabilità affermando, in definitiva, che la tutela della salute ambientale non è solo un impegno per lo "Stato", per specifiche categorie di operatori, ma un valore che ciascuno è chiamato a valorizzare anche nel quotidiano delle proprie attività.

Per questo riteniamo che la portata innovativa nella continuità della norma in questione sia tutta da esplorare con il suo riferimento a valori che trascendono la immediatezza delle necessità del lavoratore per coinvolgerlo come persona.

L'infortunio in itinere può costituire un utile terreno di verifica con le sue intersezioni, fra l'altro, con problematiche ambientali, di tutela della salute individuale e collettiva, di rilevanza assicurativa della disciplina dei reati stradali, di connessione con le verifiche di responsabilità civile per l'evento lesivo.

Un utile terreno a condizione che si superi l'idea che l'indennizzo sia subordinato alla verifica della sussistenza della "occasione di lavoro" e non più semplicemente a quella della "occasione dell'iter" (leggi in merito: "Infortuni in itinere: occasione di lavoro o occasione dell'iter spartiacque per l'indennizzo").



Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: