Inutile chiedere che vengano oscurate le reti del servizio pubblico, il canone va comunque pagato in quanto tributo imposto ex lege

di Marina Crisafi - Non serve a nulla dire io la Rai non la guardo o arrivare a chiedere l'oscuramento delle reti tv del servizio pubblico: il canone va comunque pagato perché rappresenta una prestazione tributaria imposta ex lege che non è direttamente correlata alla fruibilità del servizio. Ad affermarlo è la Cassazione, con l'ordinanza n. 1922/2016, pubblicata oggi (qui sotto allegata).

La sesta sezione civile accoglie il ricorso dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che aveva annullato la cartella di pagamento emessa a carico di un contribuente in base al regio decreto legge n. 246/1938 per omesso pagamento del canone televisivo per gli anni 2002-2007.

A nulla valgono le doglianze del cittadino che sosteneva di aver richiesto l'oscuramento delle reti e di non aver utilizzato il televisore nelle annualità incriminate in quanto l'apparecchio era rotto e va bacchettato il giudice di merito a ritenere fondate le sue censure "in applicazione del principio di non contestazione".

La sentenza gravata, inoltre, si pone in contrasto con la disciplina del canone radiotelevisivo dettata dal r.d.l. n. 246/1938.

L'obbligo di versare il canone Rai infatti, hanno affermato gli Ermellini, non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che lega il contribuente all'azienda che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, ma in linea peraltro con quanto affermato dalla stessa Consulta (cfr. n. 284/2002) "costituisce una prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio" (cfr. Cass. n. 24010/2007). La richiesta di oscuramento dei canali, dunque "non rientra nel novero dei fatti estintivi dell'obbligo di pagamento del canone previsti dall'art. 10 del suddetto regio decreto-legge".

Per cui ricorso accolto e sentenza cassata con rinvio alla Ctr che dovrà attenersi ai principi di diritto affermati.

Cassazione, ordinanza n. 1922/2016
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