E va considerato anche lo svolgimento di attività stragiudiziale.

di Lucia Izzo - Gli avvocati possono richiedere che gli onorari siano raddoppiati o addirittura quadruplicati, ma è necessario che sussistano elementi che giustifichino tale pretesa e da cui emerga la complessità, importanza o difficoltà della pratica.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 1202/2016 (qui sotto allegata) sul ricorso di un avvocato che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per una somma relativa all'attività professionale svolta su incarico di un cliente poi deceduto e al quale erano subentrati gli eredi.

Costoro si erano opposti al provvedimento deducendo un'errata indicazione del valore della pratica e chiedendo una riduzione della percentuale, non potendo questa riguardare l'intero valore del compendio ma solo la quota di loro spettanza, anche per non essere stata l'opera professionale portata a compimento.

Rigettata l'opposizione e confermato il decreto ingiuntivo, in sede di Appello il compenso del professionista veniva rideterminato e corposamente ridotto: la Corte territoriale evidenziava che non erano stati computati correttamente nella specie né i diritti e le spese né gli onorari.

Veniva precisato, inoltre, che la ricorrente aveva maturato la qualifica di avvocato solo in epoca successiva e dunque, fino a quel momento, gli onorari sarebbero dovuti essere ridotti del 50%.

Siccome l'attività professionale era consistita nel procedere alla divisione giudiziale e alla liberazione di beni di proprietà del cliente poi defunto (sottoposti a procedura esecutiva in quanto beni pro indiviso con altri comproprietari), procedura svolta in favore di altre persone del nucleo familiare autonomamente costituite e rappresentate in giudizio, per la Corte d'Appello nessun compenso poteva essere chiesto per l'attività espletata in favore di detti comproprietari o di terzi, estranei al mandato de quo.

Per determinare il valore della pratica per il calcolo del compenso si sarebbe dovuto aver riguardo al valore non dell'intero compendio (valutato 5 miliardi di vecchie lire), ma al valore della quota oggetto di divisione, che ammontava a 850 milioni di lire, come giudizialmente accertata.

L'attività legale espletata, inoltre, avendo riguardato l'intervento in procedura esecutive già in corso doveva considerarsi modesta, essendo stata prevalente quella stragiudiziale di definizione di trattative tra creditori e terzi.

Gli Ermellini, su ricorso della professionista, ritengono infondate le sue doglianze, ossia il non aver il giudice del gravame tenuto conto della rilevanza dei risultati del giudizio e dei vantaggi conseguiti dal cliente stante la straordinaria importanza dell'affare.

I giudici premettono che, ai fini degli onorari, il valore delle cause di divisone non va stabilito a norma dell'art. 12, ult. comma, c.p.c., per il riferimento fatto in via generale dal D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1 a detto codice per la determinazione del valore della causa, poiché la norma stessa deroga espressamente al suddetto rinvio in materia di giudizi divisori, stabilendo che in tali giudici il valore vada determinato in relazione al valore della "quota o dei supplementi di quota in contestazione".

La diversa interpretazione andrebbe a disancorare, irragionevolmente, il valore della causa da quella dell'interesse in concreto perseguito dalla parte.

Nel caso di specie, le azioni intraprese, diverse e prodromiche rispetto all'azione di divisione, avevano sostanzialmente comportato lo svolgimento di attività stragiudiziale, quindi correttamente la corte di merito ha ritenuto di ricorrere per analogia alla disciplina relativa alle cause di divisione, applicando le voci tariffarie secondo i valori massimi previsti.

Nessuna censura può essere sollevata avvero la ricostruzione operata dalla Corte d'Appello circa l'attività prestata dalla ricorrente nell'ambito della divisione e delle controversie già pendenti avanti al giudice dell'esecuzione e poi transatte.

Le prestazioni finalizzate a transigere la lite, "lungi dall'avere una autonoma giustificazione, erano strettamente connesse alle controversie e strumentali alla loro definizione".

Il Collegio precisa che gli onorari possono anche essere raddoppiati e, se si vuole, anche quadruplicati secondo l'invocato art. 5 del Tariffario Professionale, tuttavia non per questo debbono necessariamente esserlo come pretende la ricorrente.

La valutazione della particolare o addirittura straordinaria importanza, complessità, difficoltà della pratica è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui discrezionalità già si esplica nella determinazione del compreso sulla base dei medesimi parametri, tra i minimi e i massimi stabiliti nella tabella allegata alla tariffa stessa.

D'altronde, del potere discrezionale di stabilire che una controversia si presenti di straordinaria importanza e possa, quindi, anche consentire il raddoppio dei massimi degli onorari, va giustificato, come in tutti i casi di uso di un potere discrezionale extra ordinem, solo l'esercizio e non anche il mancato esercizio.

Il ricorso è pertanto respinto.

Cass., II sez. civile, sent. n. 1202/2016

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