Sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare che l'attività svolta in favore di terzi era compatibile con la patologia che lo affliggeva

di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 586 del 15 gennaio 2016 (qui sotto allegata) la sezione lavoro della Corte di cassazione ha sancito la legittimità del licenziamento di un dipendente che, durante il periodo in cui è in malattia, partecipa con costanza all'attività della moglie.

Nel caso di specie, l'uomo, pur essendo in malattia, lavorava quotidianamente presso il bar gestito dalla moglie.

Il dipendente ha tentato di far valere le proprie ragioni affermando che la tipologia di patologia della quale era affetto gli consentiva comunque di uscire.

L'uomo, poi, sosteneva che, anche ammesso che egli frequentasse il bar della moglie, non vi sarebbe stata comunque nessuna prova che vi lavorasse.

In realtà, per la Cassazione, nel corso del giudizio del merito era emersa chiaramente la prova dello svolgimento dell'attività lavorativa, in maniera non episodica, presso l'esercizio commerciale della moglie.

A tal proposito la Corte ha quindi evidenziato che sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare che questa attività lavorativa, svolta in favore di terzi, era compatibile con la patologia che, invece, aveva determinato l'assenza dal proprio, effettivo, posto di lavoro.

Non solo: la dimostrazione doveva avere a oggetto anche la compatibilità con il recupero delle energie lavorative.

Così, in assenza di tale prova, e dimostrato invece che il lavoratore continuava a lavorare presso terzi durante il periodo di malattia, il licenziamento per giusta causa intimato nei suoi confronti va confermato come legittimo.

Corte di cassazione testo sentenza numero 586/2016
Valeria Zeppilli

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