Nessuna discriminazione per la mancata liberazione anticipata di chi si trova agli arresti domiciliari

di Marina Crisafi - Chi si trova ai domiciliari può anche espiare una pena più lunga rispetto a chi è in carcere per lo stesso motivo e non c'è nessuna sperequazione di trattamento. A stabilirlo è la prima sezione penale della Cassazione, con una sentenza resa nota pochi minuti fa (n. 987/2016), bocciando la tesi della difesa che si doleva della mancata liberazione anticipata del proprio assistito (detenuto domiciliare), lamentando un trattamento discriminatorio. 

Per gli Ermellini, infatti, non è equiparabile, "se non per l'attuazione in corso del rapporto esecutivo penale, la condizione di chi abbia trascorso anni in carcere in una situazione emergenziale di sovraffollamento, tale da aggravare ulteriormente la già penosa esperienza restrittiva e segregativa per il prolungato allontanamento forzato dal consesso sociale e per le conseguenti maggiori difficoltà di reinserimento in esso, rispetto a quella di chi abbia potuto permanere al domicilio scelto a contatto quotidiano con congiunti o conviventi e che ha potuto fruire di forme di socialità nell'ambito degli affetti più cari, negli spazi liberamente accessibili nel perimetro di cui un'abitazione o di altra soluzione alloggiativa confacente".

In ragione, quindi, della più invasiva incidenza sulla libertà personale, della diversa qualità della vita e della ben maggiore afflittività cui sono soggetti i condannati in carcere, è perfettamente giustificabile un trattamento di favore "speciale" nei confronti di coloro che hanno versato "in condizioni oggettive di incrementata sofferenza, eccedenti la normale condizione restrittiva, e quindi anche la diversa protrazione della durata dell'espiazione", a parità di sanzione originariamente inflitta.


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