Uno dei primi casi di stepchild adoption dichiarato efficace in Italia dalla Corte d'Appello di Milano

di Marina Crisafi - È legittimo in Italia il provvedimento con il quale una donna ha adottato in Spagna la figlia dell'ex compagna, nata mediante fecondazione eterologa. Lo ha dichiarato la Corte d'Appello di Milano, con la recente sentenza del 16 ottobre 2015 (qui sotto allegata), che rappresenta uno dei primissimi casi nel nostro paese di riconoscimento della c.d. "stepchild adoption" per una coppia omosessuale.

Nella vicenda, le due donne italiane si erano sposate in Spagna con matrimonio civile e avevano avuto una bambina (ricorrendo alla fecondazione eterologa) che l'altra (la madre non biologica) aveva adottato nel 2010, come consentito dalla legge spagnola. Poi però dopo qualche anno avevano divorziato e l'adottante si era rivolta al tribunale per i minorenni di Milano chiedendo il riconoscimento dell'ordinanza di adozione spagnola della figlia, ma i giudici avevano respinto l'istanza.

In appello, però, la Corte ha ribaltato il verdetto, ordinando la trascrizione dell'atto. Pur rigettando le altre domande presentate dalla donna, relative al riconoscimento e alla trascrizione dell'atto di matrimonio contratto in Spagna e del successivo divorzio e accordo regolatore, il collegio si è espresso positivamente sull'ordinanza di adozione e sulla validità dell'accordo regolatore delle condizioni relative alla responsabilità genitoriale approvato dalle due donne.

Per i giudici, la domanda di riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano e la conseguente trascrizione nei registri dello stato civile è meritevole di accoglimento, per diversi motivi. Ripercorrendo la legislazione italiana ed internazionale in materia, la corte d'appello ha sottolineato in sostanza che ciò che deve essere sempre considerato preminente è l'interesse superiore del minore, salvo che non vi siano ragioni di ordine pubblico ostative al riconoscimento del provvedimento europeo nel nostro paese.

E sul piano giuridico, la legge italiana in materia di adozione consente (all'art. 6) che la stessa possa essere effettuata da coniugi uniti in matrimonio, non separati, neppure di fatto, una volta accertata la loro affettiva idoneità e capacità ad educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare, e al contempo "all'art. 25 prevede che l'adozione possa essere disposta, nell'esclusivo interesse del minore, nei confronti anche del solo coniuge che, per libera scelta, come consentito nel nostro ordinamento, nel corso di un affidamento preadottivo alla coppia, abbia deciso di porre fine alla convivenza coniugale con il coniuge e di separarsi". Inoltre, deve ritenersi consentita, sia pure con effetti non legittimanti, l'adozione di un minore "da parte di una persona non coniugata, qualora sia stata constatata l'impossibilità di affidamento preadottivo".

In tale contesto normativo di riferimento, così come interpretato dai giudici italiani e dai giudici sovranazionali, "non vi è alcuna ragione - hanno ritenuto dunque i giudici di Milano - per ritenere in linea generale contrario
all'ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell'adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all'interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue le figure genitoriali e al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e del provvedimento di adozione".

E nel caso in esame, la ragazzina sin dalla nascita, è stata "adeguatamente amata, curata, mantenuta, educata ed istruita da entrambe le donne che hanno realizzato l'originario progetto di genitorialità condivisa, nell'ambito di una famiglia fondata sulla comunione materiale e spirituale di due persone di sesso femminile".

Per cui, sì al riconoscimento del provvedimento spagnolo di adozione nell'ordinamento italiano e alla conseguente trascrizione nei registri dello stato civile.

Corte d'Appello di Milano, sentenza 16 ottobre 2015

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