Cassazione: la scelta di ritardare il concepimento non può essere causa di addebito se si tratta di conseguire una maggiore stabilità lavorativa

di Marina Crisafi - Tra le tante ragioni che possono condurre all'addebito della separazione non può collocarsi la scelta del coniuge di subordinare alla carriera lavorativa la decisione di avere un figlio. Soprattutto se il ritardare il concepimento risponde alla necessità di conseguire una maggiore stabilità professionale ed economica.

Sul punto si è espressa la stessa Corte di Cassazione, in una sentenza di qualche tempo fa (n. 24157/2014, qui sotto allegata), rigettando la richiesta di addebito della separazione del marito nei confronti della moglie, in quanto, a sua detta, la stessa avrebbe mantenuto un atteggiamento non curante e anaffettivo nei suoi confronti, anteponendo le esigenze di affermazione professionale a quelle familiari e ritardando di 8 anni rispetto al matrimonio la nascita del figlio, negandosi, dopo la nascita dello stesso, a qualsiasi rapporto intimo.

Ma per la Corte, le doglianze dell'uomo sono infondate. Come correttamente rilevato dal giudice di merito, dalle risultanze processuali emergeva la rappresentazione di una coppia di giovani coniugi "intensamente impegnati nelle rispettive attività professionali cosicché non stupisce, né appare riprovevole, che l'importante decisione di avere un figlio sia stata assunta dopo alcuni anni di matrimonio, al conseguimento di una maggiore stabilità lavorativa da parte di entrambi".

E non può certo ignorarsi, secondo la corte che, entrambi i coniugi conducevano una vita di coppia assolutamente normale (con tanto di vacanze, regali e decisione di acquisto di una casa più grande), incrinata non certo dal ritardo nel concepimento del figlio, ma dall'abbandono, come un fulmine a ciel sereno, dell'uomo del tetto coniugale, a causa della frequentazione con un'altra donna.

Per cui, ha concluso la S.C., a fronte di una motivazione ampia e priva di vizi logici, non possono che confermarsi le statuizioni del giudice d'appello, e conseguentemente, confermare l'addebito della separazione al marito anziché alla moglie.

Cassazione, sentenza n. 24157/2014

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