I casi in cui il viaggiatore ha diritto a recedere dal contratto ed essere rimborsato
di Valeria Zeppilli - In un contesto internazionale così complicato e teso come quello attuale può divenire difficile programmare un viaggio con tranquillità. Basta infatti un attimo perché una meta pacifica divenga pericolosa.

Le vacanze invece, si sa, vengono spesso organizzate con largo anticipo, specie se le destinazioni ambite sono lontane.

Come fare allora per tutelarsi nel caso in cui si rinunci al viaggio perché la meta è divenuta pericolosa?

È chiaro infatti che molti viaggiatori, giustamente, potrebbero preferire evitare di fare del turismo in zone in cui sono in atto conflittualità e scontri o in cui vi è un'allerta attentati.

Ma talvolta decidere di non partire potrebbe voler dire anche decidere di perdere i soldi spesi per il volo.

E non sempre ottenere un rimborso è facile.

La differenza la fa la circostanza che la meta sia o meno inserita dal Ministero degli Affari Esteri tra le zone effettivamente a rischio.

A tal fine la Farnesina ha predisposto un apposito sito web, www.viaggiaresicuri.it, recentemente rinnovato.

Infatti, non è escluso che i viaggiatori siano presi da eccessivo allarmismo e il recesso dal contratto di viaggio sia ingiustificato e penalizzante per le compagnie.

Viceversa, se la zona è indicata come pericolosa dalla Farnesina, le pretese dei viaggiatori sono assolutamente legittime e il recesso dal contratto diviene per essi un vero e proprio diritto.

Talvolta le compagnie tentano di far recuperare il viaggio al consumatore proponendo delle destinazioni diverse, ma per il viaggiatore questa è solo un'alternativa facoltativa.

Infatti, la pericolosità della meta prescelta rappresenta un sopravvenuto difetto dell'elemento funzionale del contratto, ovverosia della cd. "finalità turistica", che ne comporta l'estinzione ai sensi dell'articolo 1174 c.c. in base al quale "la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore".

Anche la Cassazione, in diverse pronunce, ha del resto chiarito che gli eventi che incidono sulla pericolosità del soggiorno hanno ripercussioni sulla finalità turistica dello stesso e comportano, quindi, l'estinzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della causa dello stesso (in tal senso, ad esempio, si veda la sentenza numero 26954 del 20 dicembre 2009).

Ciò, ovviamente, sul consolidato presupposto che la "finalità turistica" non si limita a rappresentare gli interessi soggettivi del viaggiatore ma diviene l'interesse stesso che il contratto è volto a soddisfare, andandone a connotare la causa concreta (cfr. Cass. n. 16315/2007).

È chiaro, comunque, che la meta deve essere divenuta ad alto rischio dopo che il viaggio sia stato prenotato: viceversa il rischio stesso deve considerarsi consapevolmente accettato.

Proprio per questo è consigliabile, se non si conoscono bene le mete prescelte, recarsi anticipatamente sul sito del ministero degli affari esteri per controllare se effettivamente la destinazione sognata non si trovi in una "zona rossa".

In ogni caso, se una città o un'area siano divenute pericolose, tale condizione non può estendersi all'intero Stato. Così il diritto del viaggiatore di non partire resta circoscritto alle zone espressamente indicate come da evitare.

Se in esse era programmata esclusivamente un'escursione, sarà solo questa a poter essere annullata.

Diversa invece è l'ipotesi in cui in un'area a rischio il viaggiatore abbia programmato un semplice scalo. In questo caso, infatti, il recesso dal contratto di viaggio è possibile solo nel caso in cui la sosta nella zona pericolosa si protragga per qualche ora

I confini della tutela, in ogni caso, sono molto vaghi.


Valeria Zeppilli

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