La gratuità della prestazione determina, in alcuni casi, l'attenuazione della responsabilità. Ecco cosa dice la giurisprudenza e le questioni spinose

Il contratto - guida legale

Dott. Paolo Garrone - Un sentiero poco battuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza - ma rilevante per i risvolti che può avere sul piano pratico - è il problema della responsabilità contrattuale di chi esegue prestazioni a titolo gratuito.

Com'è sicuramente noto a chi legge, il Codice Civile prevede delle fattispecie tipiche in cui la gratuità della prestazione comporta per espressa previsione l'attenuazione della responsabilità del soggetto giuridico agente.

Prestazione gratuita e responsabilità attenuata

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Trattasi, più precisamente, della responsabilità del mandatario (art. 1710 del c.c.), del depositario (art. 1768 del c.c.) e del mutuante (art. 1821 del c.c.). Queste figure contrattuali, prima facie, si connotano per un rilevante aspetto in comune, che consiste, genericamente, nel loro scarso o (talvolta persino) nullo grado di incisività su interessi e valori fondamentali della persona, avendo invece un impatto limitato ad interessi di carattere economico[1]. E, forse proprio per questo, all'art. 1681 del c.c. il legislatore dispone che in materia di trasporto gratuito è invece sanzionata con la nullità - ossia l'invalidità più grave prevista dal nostro ordinamento - qualunque clausola che limiti la responsabilità del vettore per eventuali sinistri che colpiscano il viaggiatore. Si tratta, in questo caso, di una disposizione imperativa o di ordine pubblico che mira evidentemente a tutelare il diritto fondamentale alla salute della persona trasportata, stabilendo che in nessun caso la sua incolumità potrà esser convenzionalmente messa a repentaglio con clausole contrattuali che limitino la responsabilità del vettore[2].

L'ambito di applicazione secondo la giurisprudenza di legittimità

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Il problema più spinoso, tuttavia, riguarda la possibile esistenza di un principio generale che ammetta per qualunque fattispecie la limitazione di responsabilità del contraente che pone in essere prestazioni a titolo gratuito.

A quanto consta a chi scrive, raramente la giurisprudenza si è espressa sul punto.

Cassazione n. 185/1976

L'unica pronuncia che ha affrontato nei dettagli il problema è una lontana sentenza

della Corte di Cassazione[3], chiamata ad esprimersi sulla responsabilità di un tecnico fornitore di prodotti antiparassitari che aveva espresso una consulenza a titolo gratuito circa l'efficacia di una merce poi rivelatasi, nei fatti, inidonea. In presenza di un'apparente lacuna legislativa, la suprema Corte affermò che la disciplina delle prestazioni a titolo gratuito andrebbe desunta, da un lato, nelle disposizioni di carattere generale in materia di obbligazioni e contratti e, dall'altro lato, nelle disposizioni particolari dettate per le varie figure contrattuali tipiche previste dal Codice. Quindi, proseguendo oltre, la Corte affermò che la responsabilità per inadempimento di chi abbia eseguito o anche solo promesso prestazioni a titolo gratuito, essendo di natura contrattuale, è disciplinata dall'art. 1218 del c.c. - e non certo dall'art. 2043 c.c., applicabile per le sole prestazioni di cortesia[4] - con la necessaria precisazione che "la responsabilità del debitore per colpa debba essere valutata con minor rigore, in conformità ad un criterio che, pur essendo dettato espressamente in tema di mandato (art. 1710, 1 comma, cod. civ.) e di deposito (art. 1768, 2 comma, cod. civ.) gratuiti e, con riferimento ai vizi della cosa oggetto della prestazione, di comodato (art. 1812 cod. civ.) e di mutuo gratuito (art. 1821, 2 comma, cod. civ.), assume il valore e il significato di un principio generale in materia di responsabilità per inadempimento in relazione alle prestazioni gratuite".

In buona sostanza, la Corte statuì che le disposizioni contemplate dal legislatore per singole fattispecie contrattuali e delineanti una responsabilità attenuata per le obbligazioni derivanti dal contratto a titolo gratuito possono essere applicate anche per tutte le altre figure contrattuali. A ben vedere, ancorché condivisibile, la massima affermata dalla Corte pone non certo poche perplessità, soprattutto potendosi obiettare che, per principio generale, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit e, pertanto, se la legge avesse davvero voluto prevedere l'attenuazione della responsabilità del contraente in caso di contratto a titolo gratuito lo avrebbe o espressamente dettato per ogni contratto tipico o, ancor meglio, lo avrebbe indicato come principio di carattere generale, senza ribadirlo di volta in volta.

Cassazione n. 8012/2009

Proseguendo oltre, una seconda occasione in cui i Giudici di legittimità si espressero sul punto risale al 2009[5]. La Corte dovette pronunciarsi su un caso relativo ad un danno sofferto da turisti durante il trasporto offerto in occasione di un viaggio premio. Laddove la Corte D'Appello aveva dichiarato la gratuità della prestazione dei viaggi, la suprema Corte statuì che "anche ammesso che una tale gratuità consenta di escludere ogni responsabilità dell'organizzatore o dell'intermediario, il che appare in contrasto con i principi generali in materia contrattuale, ove la gratuità della prestazione comporta l'attenuazione, ma non l'esclusione della responsabilità (cfr. p. es. art. 1710 c.c., comma 1, art. 1768 c.c., comma 2), in primo luogo il viaggio non era gratuito per i familiari o gli accompagnatori dei premiati (omissis)". Donde, pare che i giudici di legittimità si siano limitati a recuperare quel principio generale che era stato ancor meglio delineato nella sentenza n. 185 del 1976.

Cassazione n. 18230/2014

Infine, in una recente ordinanza[6], la suprema Corte ha completamente ribaltato l'interpretazione che, fino a poco tempo fa, sembrava aver voluto privilegiare. In un caso di responsabilità medica, i giudici ermellini dichiararono infatti che "colui il quale assume volontariamente un obbligo, ovvero inizia volontariamente l'esecuzione di una prestazione, ha il dovere di adempiere il primo o di eseguire la seconda con la correttezza e la diligenza prescritte dagli artt. 1175 e 1176 c.c., a nulla rilevando che la prestazione sta eseguita volontariamente ed a titolo gratuito". Con il che, esprimendo un principio all'apparenza di carattere generale, si dovrebbe ritenere che per qualunque obbligazione il grado di responsabilità del contraente debba esser rapportato ai generali canoni di diligenza previsti agli artt. 1175 e 1176 del c.c., a prescindere dall'onerosità o gratuità del contratto. È certamente una pronuncia che lascia spazio alle perplessità, e che a parere dello scrivente può essere intesa solamente in due modi. Si potrebbe innanzitutto considerare superato l'orientamento interpretativo formulato nella sentenza n. 185 del 1976, e ritenere che non esista (o meglio, non esista più) alcun principio generale che consenta l'attenuazione della responsabilità di chi esegue prestazioni a titolo gratuito, né alcuna possibilità d'interpretazione analogica delle (poche) disposizioni che espressamente la consentono. Altrimenti, nonostante ciò possa apparire una forzatura, si potrebbe ritenere che i giudici ermellini si siano voluti riferire unicamente al caso di specie, che consisteva in una controversia per responsabilità medica. Come si è già detto supra, infatti, lo stesso legislatore sembrerebbe voler escludere possibili limitazioni di responsabilità per prestazioni che, ancorché a titolo gratuito, incidano su interessi e valori fondamentali della persona, come l'incolumità del trasportato nel contratto di trasporto gratuito o, per l'appunto, la salute del paziente curato dal medico. A parere dello scrivente è quest'ultima la soluzione più idonea.

Il concetto della limitazione della responsabilità

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Rimane infine da chiedersi che cosa esattamente significhi e come si possa concretamente tradurre la limitazione della responsabilità di chi compie una prestazione a titolo gratuito.

In materia di mandato gratuito, la giurisprudenza afferma che l'unica limitazione ammissibile è quella relativa al grado di diligenza, prudenza e perizia richieste al mandante (di regola quelle del buon padre di famiglia, ex art. 1176 c.c.) donde non gli si potrebbe far carico "di una colpa di entità trascurabile nell'esecuzione dell'incarico prestato per amichevole favore"[7]. Tuttavia, in presenza di un vero e proprio inadempimento, il mandatario dovrebbe comunque rispondere dell'intero danno sofferto dal mandante, ai sensi dell'art. 1223 del c.c., di modo tale che la responsabilità del mandatario finirebbe con l'ergersi anche sui danni derivanti da quelle disattenzioni minori che, in quanto tali, andrebbero invece per così dire "perdonate" nel negozio giuridico a titolo gratuito.

È chiaro che il rischio che si corre è quello di vanificare l'effettiva portata della disposizione, nel tentativo di trovare un bilanciamento ad un contrasto normativo, quello tra l'art. 1223 e l'art. 1710 del c.c., di difficile soluzione. Si tenga altresì conto che, a sommesso parere, il legislatore lascia forse troppo spazio discrezionale all'interprete nello stabilire il livello oltre il quale sorge la responsabilità nel mandato a titolo gratuito. Pertanto, nell'incertezza che connota questa materia, ad avviso dello scrivente una tesi ammissibile sarebbe quella di limitare la sfera dell'inadempimento contrattuale alle sole ipotesi di colpa grave, tenendo però conto che, qualora questa sussista, l'agente dovrebbe poi rispondere di tutti i danni, anche se derivanti da disattenzioni più lievi.

In questo modo si consentirebbe di conformarsi all'orientamento espresso dalla giurisprudenza (e, in un ordinamento a formanti dissociati come il nostro, la convergenza interpretativa tra dottrina e giurisprudenza riveste una grande importanza) cercando altresì di conferire maggior certezza e univocità interpretativa al concetto di attenuazione della responsabilità, considerato che l'elemento della colpa grave non è certo nuovo nel nostro ordinamento (vedi art. 2236 c.c.).

Ci si augura comunque che la giurisprudenza intervenga presto sulla questione.


[1] Si veda Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, 426.

[2] Nel trasporto di cortesia, ossia il trasporto posto in essere dal vettore che non persegue un interesse economico, la salute del trasportato è tutelata genericamente dall'art. 2043 del c.c. (cfr. Cass., 08/10/2009, n. 21389, in Pluris.it).

[3] Cass., 22/01/1976 n. 185, in Il Foro italiano, 1976, 619 e segg.; Così anche Trib. Potenza, 01/03/2013, in Pluris.it.

[4] Si veda anche Gallo P, Contratto e buona fede, 18 e segg.

[5] Cass., 02/04/2009 n. 8012, in Pluris.it.

[6] Cass., 06/02/2014, n. 18230, in Pluris.it.

[7] Trib. Potenza, 01/03/2013; Cass. civ., 03/04/1980, n. 2200, tutte in Pluris.it.


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