Per la Cassazione non commette reato chi evade dai domiciliari per sfuggire alla moglie (l'uomo uscito di casa aveva chiamato il 113 per farsi portare in prigione)

di Marina Crisafi - D'ora in poi chi sceglie il carcere per sfuggire alla propria moglie avrà tutta la comprensione della Cassazione. Gli Ermellini, infatti, con la sentenza n. 44595/2015, depositata ieri (qui sotto allegata), hanno scagionato un uomo dal reato di evasione dagli arresti domiciliari perché dopo l'ennesima lite con la propria consorte era fuggito di casa, telefonando subito alle forze dell'ordine e chiedendo di andarlo a prendere per portarlo in prigione.

A differenza dei giudici di merito che avevano ritenuto integrato il reato condannandolo a 4 mesi di reclusione, sulla base della circostanza che al momento del controllo l'uomo non si trovava all'interno del domicilio coatto, indipendentemente dalle ragioni personali che l'avevano spinto ad allontanarsi dalla propria abitazione, per la Suprema Corte, nel caso di specie, non c'è nessuna evasione.

Sebbene sia corretto, infatti, il rilievo difensivo del giudice d'appello, secondo cui "la ratio che sorregge la norma di cui all'art. 385 c.p. consiste nell'obbligo imposto alla persona sottoposta alla misura detentiva domiciliare di rimanere nel luogo indicato e non allontanarsene senza autorizzazione, perché ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. e nel contempo nel consentire agevolmente i prescritti controlli da parte dell'autorità di polizia giudiziaria addetta", è vero altresì, ha affermato la sesta sezione penale, che guardando alla condotta dell'uomo nel suo insieme, "si deve necessariamente concludere per l'assenza di offensività concreta atteso che in nessun momento egli si è sottratto alla possibilità per gli addetti al controllo di effettuare le dovute verifiche, restando nelle immediate vicinanze del domicilio coatto".

L'uomo, difatti, venne trovato fuori dell'abitazione in attesa dell'arrivo dei carabinieri prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere, per cui "la stretta connessione tra comunicazione dell'imminente violazione del divieto di allontanamento, permanenza nei pressi del domicilio al precipuo scopo di far rilevare l'allontanamento stesso e manifestazione dell'intento di volersi assoggettare ad un regime cautelare addirittura più rigoroso - a detta del Palazzaccio - determina l'irrilevanza dell'infrazione, non risultando violata la ratio giustificativa del precetto".

Pertanto, la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste e l'uomo (suo malgrado) può restare a casa con la moglie!

Cassazione, sentenza n. 44595/2015

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