Per la Cassazione la partecipazione dei familiari non trasforma un'impresa individuale in una collettiva
di Valeria Zeppilli - Quando uno dei due coniugi esercita un'attività commerciale quale socio di società di persone, tra di essi non può ritenersi sussistente un'impresa familiare.

Infatti, in tal caso il soggetto imprenditore non è il socio ma la società personale, dotata di autonoma soggettività e soggetta allo statuto dell'imprenditore commerciale.

Se, quindi, ad esempio la moglie dà una mano al marito nell'esercizio della sua attività, non acquisirà per ciò solo il diritto a percepire gli utili o ad ottenere la liquidazione della quota in caso di allontanamento dall'impresa.

Con tale fattispecie si è recentemente confrontata la Corte di cassazione, con la sentenza numero 20552/2015, depositata il 13 ottobre (qui sotto allegata).

In tale occasione i giudici hanno, infatti, specificato che la partecipazione dei familiari ad un'impresa non trasforma un'impresa individuale in una collettiva: l'impresa, infatti, appartiene solo al suo titolare e crea tra i partecipanti esclusivamente un rapporto interno di natura obbligatoria.

L'esercizio dell'impresa familiare, per la Corte, non è quindi compatibile con la disciplina societaria.

Ciò essenzialmente in ragione della disciplina patrimoniale, ovverosia per il fatto che la partecipazione del familiare agli utili, ai beni con essi acquistati e agli incrementi d'azienda non è proporzionale alla quota di partecipazione ma fa riferimento esclusivamente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Corte di cassazione testo sentenza numero 20552/2015
Valeria Zeppilli

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