Il danno da perdita di chances in ambito lavorativo è di creazione giurisprudenziale, si configura in caso di demansionamento, mancata progressione di carriera e in altri casi

Danno da perdita di chance: cos'è

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La perdita di chance è una voce di danno di creazione giurisprudenziale che si concretizza quando, a causa di un comportamento illecito o inadempiente di un terzo, un soggetto perde la possibilità di conseguire un determinato vantaggio, sia esso economico che relativo a uno specifico bene o risultato.

La perdita di chance, in ambito giuslavoristico, trova applicazione in relazione alle possibilità, per i lavoratori, a titolo di esempio:

  • di ottenere un avanzamento di carriera;
  • di essere assunto in una Pubblica Amministrazione;
  • di avere un aumento di stipendio;
  • di ottenere altre occasioni di lavoro più stabili.

Il riconoscimento di un ristoro per perdita di chances lavorative si configura perché il danno non ha a che fare solo con l'aspetto patrimoniale del lavoro, ma anche con la sfera morale e personale del soggetto. Il lavoro è un diritto sancito a livello costituzionale non solo perché garantisce al lavoratore un'esistenza libera e dignitosa, ma anche perché l'attività lavorativa rappresenta una delle forme attraverso le quali ogni individuo esplica la propria personalità e contribuisce alla crescita della società anche tramite l'esercizio dei diritti collegati al lavoro, come il diritto di manifestare il proprio pensiero e di riunirsi all'interno di organizzazioni sindacali.

Danno da perdita di chance nella giurisprudenza

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Poiché, come anticipato, il danno da perdita di chances lavorative ha origine nella giurisprudenza, analizziamo alcune sentenze, particolarmente rappresentative sul risarcimento del danno per perdita di chances lavorative, anche al fine di individuare le condotte che generano questa voce di danno.

Prova della mancata progressione di carriera

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Una pronuncia interessante della Cassazione che riguarda la perdita di chances nel mondo dell'Avvocatura è la n. 10499/2017. La vicenda riguarda un avvocato che chiede il risarcimento del danno derivante dalla perdita di chances relative alla progressione di carriera, a causa dei danni riportati in conseguenza di un sinistro stradale.

Gli Ermellini chiariscono che nel caso di specie questa voce di danno non può essere risarcita anche perché il ricorrente ha mancato di allegare i fatti che si sono concretizzati nella perdita di chance "la quale integra un'entità patrimoniale a sè stante, distinta e diversa dal danno da incapacità lavorativa specifica, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, talché la parte che ne assuma la lesione ha l'onere di allegare e provare, pur in via presuntiva, la concreta realizzazione dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla altrui condotta illecita."

Perdita di chance nei contratti a termine nella PA

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un altra questione di estremo interesso è quello che riguarda l'uso, oramai consolidato, sia nel settore privato che pubblico, di reiterare i contratti a termine dei dipendenti, per evitare la stipula di contratti di lavoro a tempo indeterminati, ben più tutelati del nostro ordinamento.

Con l'ordinanza n. 6493/2022 la Cassazione ha il pregio di precisare che il danno subito dal dipendente in caso di reiterazione illegittima di contratti a termine all'interno di una AUSL, non può essere risarcito applicando i parametri contemplati dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori di cui alla legge n. 300/1970.

Il lavoratore in questi casi subisce infatti un danno derivante dalla perdita di chance di reperire altre occasioni di lavoro stabile. Lo stesso non subisce la perdita del posto di lavoro semplicemente perché la legge esclude la conversione del rapporto. Ne consegue che "...il parametro per la quantificazione del medesimo va individuato nell'art. 32, comma 5, I. n. 183/2010, disposizione espressamente riferita al risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine" (disposizione abrogata per effetto del dlgs n. 81/2015) che così disponeva "Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604."

Danno esistenziale e perdita di chance

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Uno dei casi più frequenti in cui viene invece riconosciuto il danno da perdita di chances si ha quando il lavoratore subisce e dimostra ovviamente il danno da demansionamento o da dequalificazione per responsabilità imputabile al datore.

Occorre però, anche in questo caso, una prova rigorosa del danno lamentato, come spiega la Cassazione nell'ordinanza n. 8101/2022, ma soprattutto lo stesso non deve essere confuso con il danno esistenziale, in quanto il danno da perdita di chances si realizza con la violazione del diritto di "determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali".

Libertà che non deve essere confusa "con la perdita di "chances" connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita (nel caso specifico artistica)" che il richiedente ritiene di non avere potuto compiere. Occorre che sia verificata la lesione di un bene "autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale", tale da non esigere l'adempimento di un ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria "potendo giustificare solo in questo ultimo caso una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa."

Imposizione delle somme risarcitorie percepite

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Un aspetto infine collegato alla perdita di chances, che ha destato molto interesse e che è stato trattato da diverse sentenze della Cassazione, riguarda l'imposizione fiscale delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno da perdita di chances.

Questione che la sentenza n. 14664/2022 della Cassazione ha risolto affermando che "In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell'assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto."

La ragione però di tale esenzione è stato spiegato molto bene dalla sentenza n. 14670/2022: "nel caso di danno da perdita di chance, non viene risarcita la perdita di un lucro che il danneggiato non ha potuto più conseguire, ma si risarcisce, invece, la perdita delle possibilità di conseguire un lucro. Il danno per perdita di chance, cioè, è rappresentato dalla perdita non del bene della vita in sé ma della mera possibilità favorevole di conseguirlo (Sez. 3, 26 giugno 2020, n. 12906) con la conseguenza che per la determinazione del quantum il riferimento alle somme erogate a titolo di retribuzione non è idoneo a mutare il titolo dell'attribuzione, la quale non è riconducibile all'art. 6 t.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito. Pertanto, essendo unico il titolo giuridico del ristoro, è irrilevante, nella determinazione del danno, il distinguo tra le componenti risarcitorie".

Valeria Zeppilli

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