La possibilità concessa dalla riforma professionale non è retroattiva, ma la consapevolezza della Cassa forense dell'incompatibilità evita le sanzioni disciplinari

di Valeria Zeppilli - L'incompatibilità tra la professione di avvocato e la qualità di socio di una snc che amministra e gestisce beni personali o di famiglia continua a sussistere per le fattispecie anteriori alla legge n. 247/2012, che, all'articolo 18, la ha esclusa.

Così, con la sentenza n. 17114/2015 della Corte di Cassazione, depositata il 24 agosto (qui sotto allegata), l'avvocato interessato ha visto invalidata la sua iscrizione alla Cassa forense per tutto il periodo in cui ha ricoperto la qualifica di socio di una società di tal genere, con conseguente restituzione dei contributi versati e loro mancato computo ai fini pensionistici.

Secondo i giudici, infatti, nel caso di specie deve ritenersi applicabile la disciplina contenuta nel r.d.l. n. 1578/1933, che dava luogo a incompatibilità del socio di società di persone all'esercizio della professione di avvocato, indipendentemente dal fatto che egli assumesse cariche comportanti poteri di gestione e amministrazione: la partecipazione del legale alla compagine societaria, infatti, si era sviluppata lungo un arco temporale che, compreso tra il 1972 e il 2006, era anteriore all'entrata in vigore, il 2 febbraio 2013, della riforma forense.

E non è valso a giustificare l'avvocato e a sanare l'incompatibilità neanche il fatto che da diversi anni Cassa forense era consapevole della sua posizione di socio: tale circostanza gli ha permesso solo di non incorrere anche in sanzioni disciplinari, che sarebbero derivate da un'incompatibilità celata o negata.

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Valeria Zeppilli

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