Quando la notizia di stampa può far scattare l'indagine della Corte dei Conti

di Prof. Luigino Sergio - Prima di entrare nel merito della questione in esame occorre premettere alcuni elementi conoscitivi sulla categoria della responsabilità amministrativa nella quale incorre il funzionario pubblico nel momento in cui non rispetta, a causa dei suoi comportamenti dolosi o gravementi colposi, i propri compiti inerenti il servizio cui è preposto e, di conseguenza, causi un pregiudizio alla P.A.

La responsabilità da danno erariale

La responsabilità amministrativa del funzionario pubblico è altrimenti nota come responsabilità da danno erariale (dal lat. aes, rame, bronzo e fig. moneta; antico nome del tesoro del popolo romano, comprendente i proventi delle imposte, dei tributi, delle vendite di cose pubbliche, delle indennità di guerra e delle prede, in contrapposizione del tesoro privato del principe che si definì fisco).

La L. 14 gennaio 1993, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti, (in G.U. n. 10 del 14 gennaio 1994), all'art. 1, prevede che «la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali»; inoltre la responsabilità personale «si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi».

Nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità; ciò significa che si attua il principio della cd. compensatio lucri cum damno.

Nel caso vi siano deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole; mentre nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione.

Il danno erariale non è solamente ravvisabile nel pregiudizio patrimoniale patito dalla P.A., ma anche in quello sofferto dall'intera collettività di riferimento a causa dell'improprio uso delle risorse pubbliche che implica al contempo riflessi negativi sulla p.a. anche in termini di disservizio e di danno all'immagine.

La sentenza n. 36/2015 sul danno erariale da affidamento di incarichi esterni

Nel caso di specie in trattazione, ad avviso della Corte dei Conti (Sezione giurisdizionale della Basilicata, Sentenza 1 luglio 2015, n. 36), esiste danno erariale nel caso in cui la P.A. proceda all'affidamento di incarichi esterni qualora essi potevano essere espletati da personale interno all'ente pubblico.

Fatto

La vicenda riguarda un attuale viceministro del Governo Renzi, all'epoca dei fatti consigliere della Regione Basilicata, assieme ad altri consiglieri regionali, nella qualità di componenti dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Basilicata, nonché il dirigente generale della stessa struttura, convenuti in giudizio dalla Procura contabile «per rispondere del danno erariale conseguito alla adozione da parte dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Basilicata della delibera […], con la quale si disponeva di affidare ad un soggetto esterno all'Amministrazione l'incarico di redigere un progetto di organizzazione del Consiglio regionale per una spesa di 23.869,00 euro».

Ciò detto, occorre ribadire che anche gli articoli di stampa possono avere rilievo nel mondo giuridico, atteso che la Procura contabile ha avviato l'istruttoria dopo aver appreso dalla stampa il fatto sopra riportato, in uno con il sistema di graduazione della dirigenza e delle posizioni organizzative.

L'atto introduttivo del giudizio sosteneva che l'affidamento del suddetto incarico fosse avvenuto in violazione delle prescrizioni recate dall'art. 7, comma 6 del d.lgs. n. 165/2001, difettando nella fattispecie il presupposto dell'assenza di risorse umane all'interno dell'amministrazione «in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l'attività affidata al consulente esterno», concludendo la citazione nel senso che i componenti dell'Ufficio di Presidenza che adottarono la delibera di conferimento dell'incarico a soggetto esterno ed il dirigente generale della Presidenza del Consiglio regionale «il quale ha partecipato attivamente alla vicenda attraverso la istruttoria e la proposta di deliberazione», dovessero essere condannati a risarcire, pro-quota ed in parti uguali, il danno procurato alla Regione, complessivamente quantificato in € 23.869,00, oltre ad interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.

Parte convenuta era dell'avviso che a differenza di quanto sostenuto dalla Procura, la mancanza di professionalità interne allo svolgimento dell'incarico non appariva una clausola di stile inserita nella delibera, ma rispondeva all'esito di una ricognizione svolta al riguardo considerando anche le particolari cognizioni specialistiche che l'incarico implicava.

Diritto

La Corte dei Conti dapprima supera l'eccezione difensiva di nullità dell'attività istruttoria e degli atti consequenziali sostenuta dai convenuti, in quanto, a loro dire, assunti in assenza di specifica e concreta notizia di danno, richiesta invece dall'art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009 affinché il P.M. contabile possa legittimamente iniziare l'attività istruttoria; articolo rubricato: enti pubblici, economie, controlli, Corte dei Conti, il quale inserisce modifiche all'art. 3, comma 1, della L. n. 20/1994, prevedendo che: «il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti si esercita esclusivamente sui seguenti atti non aventi forza di legge […] atti e contratti concernenti studi e consulenze di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266»; articolo quest'ultimo che prevede un limite di spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione sostenuta dalle pubbliche amministrazioni a decorrere dall'anno 2006, la quale non potrà essere superiore al 30 per cento di quella sostenuta nell'anno 2004; limite di spesa nel quale deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti; eccezione che la Corte dei Conti rigetta.

Come già accennato in fatto, i giudici contabili davano avvio all'attività istruttoria sulla scorta di un articolo di stampa che nel riferire dell'incarico affidato al un soggetto esterno all'Amministrazione di redigere un progetto di riorganizzazione del Consiglio regionale, evidenziava che «[…]volutamente non si fanno lavorare le professionalità interne, per giustificare il ricorso alle consulenze esterne».

A tal proposito la giurisprudenza del Giudice contabile ha costantemente affermato l'idoneità di un articolo di stampa a costituire «notitia damni» (ex plurimis: Sez. II centrale n. 306/2010, Sez. Basilicata n. 6/2015 e n. 11/2015).

Con la Sentenza n. 12/2011/QM, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti hanno provveduto a dirimere i dubbi e le incertezze interpretative che si riferiscono anche il significato da attribuire all'espressione «specifica e concreta notizia di danno», di cui all'art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009, puntualizzando che: «l'aggettivo "specifica" è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità e che non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generica, bensì ragionevolmente circostanziata; l'aggettivo "concreta" è da intendersi come obiettivamente attinente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni. L'espressione nel suo complesso deve, pertanto, intendersi riferita non già ad una pluralità indifferenziata di fatti, ma ad uno o più fatti, ragionevolmente individuati nei loro tratti essenziali e non meramente ipotetici, con verosimile pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici […] ».

L'intervento dei giudici contabili, di conseguenza, si giustificava sulla base di tale articolo di stampa che evidenziava «un fatto potenzialmente dannoso tutt'altro che ipotetico, ma specificamente individuato e dal quale era più che verosimilmente derivato un pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici, dovuto all'impiego di risorse pubbliche per pagare un consulente esterno per lo svolgimento di un compito che poteva essere eseguito da personale interno».

Nel merito l'atto che introduce il giudizio rileva che l'affidamento del suddetto incarico sia avvenuto in violazione delle prescrizioni recate dall'art. 7 comma 6 del T.U. sul pubblico impiego, di cui al d.lgs. n. 165/2001, il quale, relativamente alla gestione delle risorse umane, tra l'altro dispone che: «per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria», dopo che l'amministrazione abbia «preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno»; rilevando i giudici contabili che nel caso di specie difettava il presupposto dell'assenza di risorse umane all'interno dell'amministrazione «in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l'attività affidata al consulente esterno».

Successivamente l'art. 1, comma 11, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), applicabile anche alle Regioni, precisava che: «l'affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari [e che] l'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale».

In merito le Sezioni Riunite in sede di controllo, nell'adunanza del 15 febbraio 2005, hanno emanato le "Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d'incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)", nelle quali si legge che: «la giurisprudenza della Corte dei Conti, in sede di controllo e in sede giurisdizionale, ha elaborato i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni:

a) rispondenza dell'incarico agli obiettivi dell'amministrazione;

b) inesistenza, all'interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell'incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;

c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico;

d) indicazione della durata dell'incarico;

e) proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione».

Si aggiunga che la Corte di Cassazione (ex plurimis: Corte di Cassazione, SS.UU., n. 4283/2013 e n. 1376/2006) ha costantemente ribadito il principio che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali a personale esterno, contravvenendo con la disciplina di settore, puntualizzando che «il conferimento dell'incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità oggettiva del rappresentare nella delibera di far fronte all'esigenza richiesta con il personale interno alle organizzazioni».

Ad avviso dei giudici contabili la problematica deliberazione di affidamento dell'incarico esterno di consulenza, appare sorretta da motivazione meramente tautologica ed apparente, quando sostiene che: «rilevata l'assenza di strutture organizzative e professionali interne in grado di assicurare, data la complessità, peculiarità e novità della materia, lo sviluppo del nuovo progetto organizzativo del Consiglio Regionale».

Nel verbale della riunione del Comitato di Direzione del Consiglio regionale nella organizzata al fine di invitare tutti i dirigenti a produrre proposte circa la riorganizzazione degli Uffici, (ma soltanto uno di essi faceva pervenire la proposta) si evidenzia che «il Dirigente Generale, nel coinvolgere i presenti sull'argomento li invita a produrre loro proposte circa la riorganizzazione degli uffici […] le proposte dovranno essere trasmesse, esclusivamente alla Direzione generale, entro otto dieci giorni da oggi ed auspica che possano essere elaborate in piena autonomia in quanto il ruolo di dirigente dovrebbe consentire di avere una visione globale dell'attività del Consiglio».

Proprio tale verbale evidenzia l'inerzia dei dirigenti di fronte alla richiesta del direttore generale di formulare mere proposte, ma non certo l'accertata impossibilità di provvedere con risorse interne.

Del resto, evidenziano i giudici contabili, è agli atti una lettera indirizzata al direttore generale (di soli due giorni posteriore alla scadenza degli 8 - 10 giorni concessi ai dirigenti per formulare le loro proposte) del consulente che verrà successivamente incaricato che trasmette un'articolata proposta metodologica e fa cenno a pregressi contatti sul tema della riorganizzazione del Consiglio regionale, nella quale è scritto che: «La ringrazio moltissimo per l'accoglienza, ma soprattutto per l'ascolto che mi ha voluto dare quando abbiamo parlato dell'organizzazione del Consiglio sul quale ho chiesto di intrattenerLa"); fatto che evidenzia, almeno, una certa fretta nel contattare personale esterno, appena spirato il breve ed incongruo tempo assegnato ai dirigenti che ingenera seri dubbi sulla effettiva volontà di svolgere una seria ricognizione della possibilità di provvedere con personale interno.

Inoltre, ad avviso dei giudici contabili «la mera inerzia dei dirigenti seguita all'invito a formulare proposte, non può essere intesa come accertata impossibilità di provvedere con risorse interne, anche perché lo svolgimento di un importante compito istituzionale (l'organizzazione degli uffici demandata alla struttura burocratica dalle norme innanzi richiamate) non poteva essere lasciata all'adesione "volontaria" dei dirigenti, ai quali era stato anche fissato un tempo palesemente breve».

La procura contabile, di conseguenza, nella propria decisione richiama la Sentenza n. 673/2014 della Sez. I di appello (che condannava il direttore generale della Regione), nella quale si dice che: « […] il dovere del dirigente generale, in presenza della necessità di adottare nuovi moduli organizzativi del lavoro del Consiglio regionale non era quello di rivolgere un mero invito a formulare proposte, ma, non difettando certo il personale qualificato, sarebbe stato quello di coordinare, dirigere, indirizzare un gruppo di lavoro, che sulla base degli studi di organizzazione amministrativa e anche delle esperienze degli altri Consigli regionali, ben avrebbe potuto elaborare un nuovo modello organizzativo».

Per le considerazioni innanzi svolte e tenuto, altresì, conto dell'adeguata dotazione di personale in servizio all'epoca dei fatti presso il Consiglio (87 dipendenti, con ben 9 dirigenti tra i quali un direttore generale, e 46 funzionari direttivi), il Collegio condivide l'assunto accusatorio in base al quale «difetta nella fattispecie all'esame il presupposto dell'assenza di risorse umane all'interno dell'amministrazione in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l'attività affidata al consulente esterno, e, conseguentemente, va ritenuto connotato da inescusabile negligenza il comportamento dell'odierno convenuto che, unitamente agli altri componenti dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale […] ha disposto l'affidamento dell'incarico in assenza dei presupposti normativamente previsti».

I giudici contabili non condividono, inoltre, le deduzioni difensive che, premessa la distinzione tra attività di indirizzo politico ed attività di gestione amministrativa, sostengono che gli organi politici non possono essere chiamati a rispondere di comportamenti ed atti rientranti nelle competenze della struttura burocratica, in quanto, ai sensi dell'art. 12 del Regolamento interno del Consiglio regionale, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale «ha il compito di assicurare l'organizzazione ed il funzionamento degli uffici del Consiglio ai sensi dello Statuto e della vigente legislazione regionale».

Ciò ribadito è ritenuta legittima l'attività istruttoria espletata dalla procura contabile, perché fondata su una notizia di danno specifica e concreta, ad avviso della Corte dei Conti «l'incarico esterno conferito in spregio ai presupposti di legge, ed in particolare quando il compito esternalizzato poteva essere svolto dal personale in servizio, non può sortire alcuna utilità e l'intero esborso costituisce danno per l'Amministrazione»; ne consegue che l'incarico che non rispetti i presupposti normativi è, oltreché illegittimo, assolutamente inutile.

Conclude il giudice contabile che «lo stesso legislatore subordina l'utilità dell'incarico esternalizzato a rigidi limiti legali, solo in presenza dei quali si giustifica l'esborso di denaro pubblico. Ne consegue che tutto il compenso erogato al consulente esterno costituisce danno per l'Erario, atteso che la prestazione resa dal soggetto esterno sarebbe potuta essere stata svolta da soggetti interni all'Amministrazione (in senso conforme cfr. Sez. Calabria, n. 159/2013; Sez. Veneto, n. 26/2014)».

Prof. Luigino Sergio - già Direttore Generale della Provincia di Lecce


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