Una sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione che richiama il principio di proporzionalità del licenziamento

Non si ritiene giustificato il licenziamento di un lavoratore che abbia violato una norma di legge o non abbia adempiuto un obbligo contrattuale "occorrendo pur sempre che tali violazioni siano di una certa rilevanza".

La sez. Lavoro della Corte di Cassazione si è così espressa nella sent. 13158/2015 riguardante la vicenda di un infermiere professionale alle dipendenze dell'Azienda USLL n.12 di Venezia, il quale si è visto licenziare poiché aveva svolto la medesima attività presso un centro privato convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.

Al caso di specie risultano applicabili le disposizioni del D. Lgs. n. 165 del 2001 che stabiliscono che il rapporto d'impiego con il Servizio sanitario nazionale debba avere natura esclusiva, cosicché è da ritenersi con esso incompatibile ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.

Tuttavia, relativamente al licenziamento per giusta causa, gli ermellini hanno richiamano il principio di proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, chiarendo che il ricorso alla massima sanzione disciplinare si giustifica "solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali" tale da alterare irrimediabilmente il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro e da valutarsi in concreto.

Non è sufficiente, secondo la Suprema Corte, la sola violazione di legge dovendosi assegnare "rilievo all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo". 

La Cassazione non ha riscontrato nel caso di specie una motivazione sufficiente a sorreggere il licenziamento secondo i criteri appena richiamati, vista l'esiguità del tempo dedicato alle mansioni presso la struttura privata (complessivamente 20-24 ore mensili) e la dimostrazione che i cambi turno richiesti per quest'attività erano in realtà richiesti "praticamente da tutti i colleghi" dell'infermiere.

Pertanto, appurati tali elementi, la Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito per il riesame della causa in base ai principi e ai criteri enunciati.

Lucia Izzo

Cassazione Civile, testo sentenza 13158/2015

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