Il sì definitivo è arrivato ieri dalla Camera con 265 voti a favore, 63 astenuti e 51 no

A circa sei mesi dall'annuncio di fine agosto del Governo, la riforma della responsabilità civile dei magistrati è diventata legge dello Stato.

Il sì definitivo è arrivato ieri dalla Camera con 265 voti a favore, 63 astenuti e 51 no.

Così, dopo un iter lungo e travagliato, tra le polemiche della stessa categoria dei magistrati e il plauso del Governo, la riforma della legge n. 117 del 13 aprile 1988, ritenuta ormai improcrastinabile, date anche le diverse sollecitazioni della Corte di Giustizia Europea alla fine è stata attuata.

Informata al principio del "chi sbaglia paga", la nuova disciplina non rappresenta però un addio definitivo alla controversa legge Vassalli, ma la modifica sensibilmente, consentendo al cittadino maggiori possibilità di farvi ricorso attraverso l'eliminazione del filtro di ammissibilità, innalzando la soglia economica di rivalsa del danno e facendo scattare la responsabilità anche in caso di negligenza grave e travisamento del fatto e delle prove. Non viene superata, invece, con la novella normativa, la responsabilità indiretta dello Stato (più volte paventata in passato nei precedenti disegni di legge), né la "clausola di salvaguardia", la quale però viene ridelineata nei casi di dolo, colpa grave e violazione manifesta.

Ecco i punti principali del testo di legge che entrerà presto in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale:

Responsabilità indiretta

Anche con la nuova disciplina la responsabilità dei giudici rimane saldamente ancorata al principio di responsabilità indiretta. Sarà, quindi, sempre lo Stato e non il magistrato a dover risarcire i danni in caso di "mala giustizia", rifacendosi poi, in un secondo tempo, sul giudice responsabile.

In sostanza, il cittadino che ha subito un danno ingiusto da parte del magistrato non potrà chiamarlo in giudizio direttamente, ma dovrà agire, tramite l'apposita azione risarcitoria, esclusivamente nei riguardi dello Stato italiano.

Obbligo e soglia della rivalsa

Ferma restando la responsabilità indiretta, lo Stato, secondo la nuova disciplina, dovrà obbligatoriamente rivalersi sul magistrato.

Il risarcimento andrà chiesto entro due anni dalla sentenza di condanna nelle ipotesi di diniego di giustizia o di violazioni dipendenti da dolo o negligenza inescusabile.

Viene modificata altresì la misura della rivalsa, innalzando la soglia dall'attuale terzo alla metà dello stipendio netto annuo del giudice, diventando totale nei casi di dolo.

Ridefiniti i confini della colpa grave

Cambia il contenuto della "colpa grave", la quale scatterà non solo per l'affermazione di fatti inesistenti o per la negazione di fatti esistenti, ma anche nelle ipotesi di violazione manifesta della legge italiana e del diritto comunitario e di travisamento delle prove e dei fatti (il quale, però, secondo quanto emerso dai lavori parlamentari, dovrà essere evidente e macroscopico per far scattare la responsabilità civile del magistrato). Sarà considerata colpa grave anche emettere un provvedimento cautelare (personale o reale) al di fuori dei casi ammessi dalla legge o senza una motivazione.

Eliminato il "filtro" di ammissibilità

Non ci saranno più controlli preliminari nei riguardi dell'ammissibilità della domanda di risarcimento contro lo Stato da parte dei cittadini.

Viene, infatti, cancellata l'attività di verifica dei presupposti e di valutazione della fondatezza delle domande oggi svolta dal tribunale distrettuale.

Limitata la clausola salvaguardia

Sopravvive la clausola di salvaguardia di cui all'art. 2 della legge Vassalli che consente al magistrato di non essere considerato responsabile per l'attività di interpretazione della legge o di valutazione delle prove e dei fatti, ma l'istituto viene ridelineato in senso restrittivo, escludendo dall'ambito di irresponsabilità le ipotesi di colpa grave, dolo e violazione manifesta del diritto italiano e comunitario.

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