ORDINANZA N. 7


ANNO 2009


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori:


- Giovanni Maria FLICK Presidente


- Francesco AMIRANTE Giudice


- Ugo DE SIERVO ”


- Paolo MADDALENA ”


- Alfio FINOCCHIARO ”


- Alfonso QUARANTA ”


- Franco GALLO ”


- Luigi MAZZELLA ”


- Gaetano SILVESTRI ”


- Sabino CASSESE ”


- Maria Rita SAULLE ”


- Giuseppe TESAURO ”


- Paolo Maria NAPOLITANO ”


- Giuseppe FRIGO ”


- Alessandro CRISCUOLO ”


ha pronunciato la seguente


ORDINANZA


nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 7 marzo (nn. 2 ordinanze) e del 4 aprile 2007 dal Tribunale di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 96, 97 e 98 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2008.


Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;


udito nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.


Ritenuto che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con tre ordinanze di analogo tenore, emesse rispettivamente il 7 marzo 2007 (r.o. numeri 96 e 97 del 2008) ed il 4 aprile 2007 (r.o. n. 98 del 2008), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) – nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;


che il rimettente – il quale procede, in ciascuno dei giudizi a quibus, nei confronti di persone di nazionalità straniera accusate di non avere ottemperato all'ordine di lasciare il territorio nazionale – dubita che la previsione edittale, entro i cui limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di condanna degli imputati, sia stata introdotta secondo un criterio di proporzionalità rispetto alle caratteristiche del fatto incriminato;


che l'incongruenza del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che le pene per l'indebito trattenimento sarebbero state fortemente inasprite, per specie e quantità, a distanza di soli due anni dall'introduzione della fattispecie incriminatrice, senza alcuna corrispondenza con una modificazione sostanziale del fenomeno regolato;


che del resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe reso manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 – con cui era stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prescriveva l'arresto obbligatorio per il reato previsto dal precedente comma 5-ter – ed a consentire, in particolare, il ripristino della previsione di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel territorio nazionale;


che la «trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto penale sostanziale», secondo il giudice a quo, sarebbe sintomo evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e sanzione;


che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l'indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose – quali l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o di igiene (art. 650 del codice penale) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante «Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità») – che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall'autorità amministrativa a fini di tutela dell'ordine pubblico;


che pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in rapporto alle sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;


che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;


che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi indicati, con atti di identico tenore, concludendo per la manifesta inammissibilità o, in subordine, per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate;


che infatti, in primo luogo, il rimettente avrebbe omesso in ciascuna delle proprie ordinanze un'adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione nel giudizio a quo;


che d'altra parte, secondo la difesa erariale, l'attuale sistema sanzionatorio sarebbe ragionevolmente articolato, comprendendo forme di responsabilità contravvenzionale, per l'ipotesi più lieve della inottemperanza ad un ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e più gravi fattispecie a carattere delittuoso, che riguardano l'ingresso clandestino nel territorio dello Stato oppure l'omessa richiesta del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine la revoca del permesso medesimo;


che sarebbe arbitraria, infine, la comparazione, istituita dal rimettente, tra la norma censurata e figure incriminatrici non riguardanti l'immigrazione, posto che tale ultima materia coinvolge interessi particolarmente complessi (quali ad esempio, oltre alla sicurezza, la sanità e l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica di governo dei flussi migratori).


Considerato che il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, solleva – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) – nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;


che il giudice a quo, dopo aver ricordato come la sanzione originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consistesse nell'arresto da sei mesi ad un anno, e come, a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta sia oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni, assume che l'inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena;


che le sanzioni comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato;


che il rimettente pone in comparazione il trattamento sanzionatorio dell'indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall'autorità amministrativa per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico;


che sono evocati, a tale proposito, l'art. 650 del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità»), che prevede l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino ad euro 206, e l'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l'arresto da uno a sei mesi;


che le ordinanze di rimessione prospettano anche un contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell'art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena;


che, data la comune pertinenza delle questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi;


che dette questioni sono sostanzialmente identiche ad altre, che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007, e manifestamente inammissibili con le ordinanze numeri 167 e 354 del 2007 e numeri 52 e 273 del 2008;


che i provvedimenti di rimessione, per quanto deliberati successivamente alla pubblicazione della citata sentenza n. 22 del 2007, non prospettano alcun nuovo elemento di valutazione, che possa indurre questa Corte a discostarsi dalle conclusioni raggiunte e più volte ribadite;


che dunque, anche nella specie, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate.


Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


per questi motivi


LA CORTE COSTITUZIONALE


riuniti i giudizi,


dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con le ordinanze indicate in epigrafe.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2009.


F.to:


Giovanni Maria FLICK, Presidente


Gaetano SILVESTRI, Redattore


Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2009.


Il Direttore della Cancelleria


F.to: DI PAOLA