SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE LAVORO


Sentenza 19 giugno - 22 ottobre 2008, n. 25574


(Presidente Cuoco - Relatore Nobile)


Svolgimento del processo


Con sentenza n. 456 del 2002 il Tribunale di Trapani condannava la s.p.a. Banca Nuova a pagare all'ex dipendente M. B. la somma di euro 1.721,52 a titolo di risarcimento del danno per l'omesso rilascio della certificazione dell'attività da lui svolta in qualità di addetto al servizio di investimento.


Con ricorso del 22-11-2002 proponeva appello la Banca Nuova deducendo: che il primo giudice aveva ignorato il contenuto del contratto stipulato tra le parti che non prevedeva che tra i compiti dell'appellato vi fosse anche il collocamento dei titoli (attività neppure provata in concreto dal B.); che il Tribunale aveva illegittimamente fatto ricorso al potere equitativo al fine di quantificare il danno lamentato dal B. non considerando che tale valutazione è consentita solo per la prova della entità del danno ma non anche per la sua sussistenza, il cui onere incombe sul danneggiato.


Con altra sentenza, non definitiva, n. 487 del 2003 il Tribunale di Trapani dichiarava che la s.p.a. Banca Nuova non aveva adempiuto con correttezza alle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro stipulato con il B. “non provvedendo alla costituzione della rete di promotori finanziari per la cui realizzazione il B. era stato assunto e, comunque, ostacolando le iniziative del ricorrente” e rigettava “le domande di risarcimento del danno formulate dal ricorrente in relazione ai profili diversi del danno alla salute e del danno alla vita di relazione”.


Con ricorso del 3-10-2003 la Banca proponeva appello avverso la detta sentenza non definitiva deducendo che il primo giudice “aveva travisato l'oggetto dell'obbligazione stipulata tra le parti”, sia perché l'asserito obbligo non era stato assunto, sia perché la costituzione di una rete di promotori finanziari rientrava tra le scelte di politica aziendale ed economica che non poteva costituire oggetto di contrattazione con i dipendenti. Aggiungeva la società che “l'obbligazione assunta aveva ad oggetto solo la preposizione del B.i alla direzione e alla gestione della “costituenda” rete di promotori” e, in subordine, rilevava che la condotta tenuta non poteva costituire fonte di danno né a titolo di responsabilità contrattuale né a titolo di responsabilità extracontrattuale, “posto che la mancata realizzazione della rete dei promotori era quantomeno ascrivibile alla incapacità professionale dell'appellato che non era stato in grado di raggiungere neppure gli obiettivi minimi per i quali era stato assunto”.


L'appellato, costituendosi, proponeva appello incidentale in ordine alle richieste non accolte, relative al lucro cessante, e alle ulteriori domande risarcitorie.


La Corte di Appello di Palermo, riuniti i giudizi, con sentenza depositata il 27-6-2005, riuniti i giudizi, in riforma di entrambe le sentenze appellate, respingeva le domande proposte dal B. con i ricorsi introduttivi del 9-1 e del 5-2-2002 e condannava l'appellato al rimborso in favore della appellante delle spese del doppio grado.


In sintesi la Corte di merito, sul primo appello rilevava che dall'esame della lettera di assunzione risultava la conformità della certificazione rilasciata al contenuto della stessa lettera, non essendo in particolare previsto che il B. svolgesse anche l'attività di collocamento dei titoli, ed aggiungeva che tanto bastava ad escludere il lamentato inadempimento della Banca ed insussistente il presupposto della domanda, considerato, altresì, che il B., non assolvendo ad un suo preciso onere probatorio, non aveva provato, né chiesto di provare, lo svolgimento della attività di collocamento dei titoli e la esistenza del danno asseritamente derivato dalla condotta della Banca.


Per quanto riguardava, poi, l'appello avverso la sentenza non definitiva, parimenti la Corte di merito escludeva la sussistenza dell'ipotizzato inadempimento della Banca, rilevando che, dallo specifico contenuto del contratto concluso tra le parti, oltre che dai principi generali, si evinceva che la Banca non aveva assunto nei confronti del B. “l'obbligo di costituzione della rete dei promotori finanziari”. Sul lamentato, poi, “sostanziale demansionamento” conseguente alla mancata costituzione della detta rete (tesi, peraltro, ritenuta “neppure adeguatamente sviluppata nel ricorso introduttivo”), la Corte osservava che lo stesso non aveva trovato “alcun riscontro probatorio”.


Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso il B. con due motivi.


La Banca Nuova s.p.a. ha resistito con controricorso.


Il B. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..


Motivi della decisione


Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1321, 1362, 1363, 1366, 1367, 2094 e 2103 c.c. nonché vizio di motivazione, in sostanza deduce che il contratto di lavoro stipulato tra le parti sarebbe stato frainteso, in quanto “la costituzione della rete di promotori, diversamente da quanto opina la Corte d'Appello seguendo inspiegabilmente la tesi della banca, entrava nel contratto come elemento di individuazione della attività concordata fra le parti e della qualifica contrattuale attribuita” ed il termine “costituenda” rappresentava “solo, la circostanza che la rete non era ancora costituita ma che avrebbe dovuto esserlo, anzi che ne era stata decisa la costituzione”.


Del resto, sul piano letterale, osserva il ricorrente che nel citato “gerundivo, così come in italiano utilizzato, vi è sia il profilo dell'imminenza sia dell'ineluttabilità”, rilevando, altresì, sul piano logico, che “se la statuizione della Corte d'Appello fosse corretta ne deriverebbe che il contratto sarebbe privo di senso”. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, il ricorrente deduce che “la circostanza che la funzione potesse essere modificata” conferma “che la funzione fosse già attribuita proprio in relazione alla costituzione della rete” (dedotta in contratto come “presupposto per lo svolgimento delle mansioni contrattualmente pattuite con il lavoratore” e non adempiuta da parte della banca con conseguente violazione dell'art. 2103 c.c.).


Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.


Come questa Corte ha più volte affermato “l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce una attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev'essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra” (v. Cass. sez. I 22-2-2007 n. 4178, Cass. sez. I 7-3-2007 n. 5273, Cass. sez. III 12-7-2007 n. 15604).


Nella fattispecie il ricorrente, seppure ha riportato il testo della lettera di assunzione del 23-9-1999, sotto il primo profilo in sostanza ha dedotto soltanto la violazione del criterio letterale in ordine al gerundio (“costituenda”) adottato nonché la violazione del criterio di conservazione (art. 1367 c.c.), per il resto limitandosi, anche con riferimento al secondo profilo del vizio di motivazione, a contrapporre la propria lettura rispetto a quella accolta dai giudici del merito.


Orbene al riguardo la Corte di merito espressamente ha disatteso la tesi del ricorrente “dovendo escludersi già in limine che la Banca avesse assunto nei confronti del B. l'obbligo di costituzione della rete dei promotori finanziari e che, conseguentemente, la mancata realizzazione del programma costituisca un inadempimento, fonte di danno risarcibile”.


In particolare la Corte d'Appello ha affermato che dal chiaro e univoco contenuto della citata lettera di assunzione “si desume che oggetto del contratto stipulato inter partes fosse quello tipico del rapporto di lavoro, ossia da un lato la prestazione da parte del B. di un'attività lavorativa, nella specie quella corrispondente alle attribuzioni del funzionario di 3ª categoria, e dall'altro l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere al prestatore il corrispettivo convenuto”.


La Corte, inoltre, ha rilevato che “la prospettata costituzione della rete dei promotori finanziari costituisce, invece, espressione del potere organizzativo dell'imprenditore e delle sue scelte di politica aziendale” e che “l'estraneità della costituzione della rete alle obbligazioni assunte dalla Banca nei confronti del lavoratore” “trova univo riscontro nello specifico contenuto del contratto concluso tra le parti, nel quale è esclusa la esistenza di un obbligo permanente di impiego del B. nella funzione di responsabile della rete stessa (“in relazione alla... attribuzione di mansione quale responsabile amministrativo della costituenda rete di promotori finanziari e fino a quando... manterrà tale funzione”).


Tale interpretazione, pur non essendo certamente l'unica possibile, non ha violato i criteri ermeneutici ed è stata congruamente motivata.


Di per sé, infatti, l'uso del gerundio non è univoco nel senso voluto dal ricorrente e comunque, proprio in osservanza del criterio dettato dall'art. 1362 c.c., non può essere estrapolato dall'espressione nella quale è contenuto e dall'intero contesto della lettera di assunzione.


La interpretazione, poi, accolta nell'impugnata sentenza non è affatto priva di effetto, giacché, pur essendo state previste, in sostanza, come eventuali le mansioni di responsabile della “costituenda rete”, il contratto ha però altresì previsto, in connessione con le stesse, determinati “extra”.


La valutazione, infine, strettamente di merito, in ordine alla circostanza che la costituzione della detta rete non fosse stata oggetto di obbligazione da parte della società, è adeguatamente e congruamente motivata, non soltanto in astratto, ma anche in concreto con riferimento allo specifico contenuto del contratto.

La impugnata decisione, quindi, resiste alle censure del ricorrente.


Con il secondo motivo il ricorrente denunciando violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1367, 2103 e 2697 c.c., nonché vizio di motivazione, il ricorrente censura la decisione di merito circa il rigetto della domanda relativa al “sostanziale demansionamento” comunque scaturente dalla mancata realizzazione della rete di promotori finanziari, deducendo da un lato la “inesatta interpretazione della domanda” da parte della Corte d'Appello e dall'altro il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della mancata prova al riguardo, risultando pacifica la circostanza di fatto dell'abbandono del progetto da parte della banca.


Il B. inoltre deduce in particolare che la testimonianza L. (riportata in ricorso ai fini della autosufficienza) era “idonea a comprovare lo svuotamento progressivo delle attività professionali del ricorrente” ed infine ripropone in questa sede i motivi dell'appello incidentale (implicitamente respinto dalla Corte di merito con l'accoglimento dell'appello principale della società).


Anche tale motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.


In primo luogo la Corte di merito ha ritenuto la domanda relativa al “sostanziale demansionamento” non “adeguatamente sviluppata nel ricorso introduttivo del giudizio essenzialmente incentrato sul preteso inadempimento dell'obbligo di attivazione del sevizio dei promotori”.


Tale valutazione, riguardante la interpretazione della domanda, resiste alla censura del ricorrente, in quanto il contenuto del ricorso introduttivo, riportato nel ricorso per cassazione (seppure parli di “condizione di mortificante attività” e di compromissione delle “capacità professionali acquisite depauperando il suo patrimonio di conoscenze e riducendone le possibilità di ulteriore sviluppo”) risulta comunque generico (sulla necessità di una specifica allegazione v. da ultimo Cass. S.D. 24-3-2006 n. 6572).


In ogni caso (e con autonoma ratio decidendi) la Corte d'Appello ha espressamente affermato che “quanto al sostanziale demansionamento del B. che lo stesso avrebbe subito proprio per effetto della mancata costituzione della rete dei promotori, va osservato che la tesi... non ha trovato alcun riscontro probatorio atteso che tutti i testi indicati dal B. sono stati da lui addotti solo per riferire sull'abbandono da parte della Banca del progetto di attivazione della rete, ad eccezione del L., indicato per riferire sulla ipotizzata inutilizzazione del B., peraltro sempre per effetto del mutamento delle scelte organizzative della Banca, ma che tuttavia non ha fornito alcun elemento di valutazione in tal senso”.


Anche tale motivazione resiste alla censura del ricorrente.


Sul punto, innanzitutto, deve ribadirsi l'indirizzo consolidato in base al quale “la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (v. Cass. 9-4-2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412, Cass. 26-2-2007 n. 4391).

In particolare, poi, la Corte ha attentamente valutato anche la testimonianza del L., ritenendola inidonea a dimostrare la asserita “inutilizzazione” del B., e dalla lettura di detta testimonianza, come anche riportata in ricorso, risulta che il teste aveva soltanto riferito che “l'attività del B. diminuì concretamente”.

La motivazione quindi, anche su tale punto risulta congrua e priva di vizi logici.


Infine le censure contenute nella “riproposizione” dell'appello incidentale (implicitamente respinto dalla Corte d'Appello con il rigetto delle domande del B.) sono rivolte contro la sentenza di primo grado e non contro quella di appello per cui risultano inammissibili (v. Cass. 15-3-2006 n. 5637, Cass. 20-6-1996 n. 5714).

Da ultimo, in considerazione dell'esito alterno dei giudizi di merito, ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.